Ivo Andrić narra magistralmente la vida en su Bosnia natal bajo el dominio otomano, tejiendo narrativas épicas que exploran destinos humanos marcados por la historia. Sus profundas ideas sobre la psique humana se complementan con un poderoso sentido del lugar y la cultura. La obra de Andrić captura las complejidades de la existencia, convirtiéndolo en una voz significativa en la literatura.
The Drina bridge, a bridge that spans generations, links early sixteenth century Ottoman Empire with the pre-WWI Austro-Hungarian Empires; giving a glimpse into day-to-day living under such diverse regimes. Chronicles the lives of Catholics, Moslems, and Orthodox Christians -- with their deep seated loyalties to their respective faiths, but giving hope that it is possible for such diverse groups to live in peace -- with each other.
Ivo Andric posses the rare gift in a historical novelist of creating a period-piece, full of local colour, and at the same time characters who might have been living today. His masterwork is imbued with the richness and complexity of a region that has brought much tragedy to our century and known so little peace. The writer uses his native Bosnia as a microcosm of human society, stressing its potential for national, cultural and religious misunderstanding and conflict, and identifying the barriers of all kinds that hinder communication between individuals. Written against the background of violence released in these mixed communities during the Second World War, the novel now has renewed and poignant relevance.
«Corte del diavolo»: così viene chiamata una prigione di Istanbul, sotto l’Impero ottomano. Vi si trovano esemplari di ogni tipo umano: sordidi, innocenti, abietti, perversi, miti, folli. Sono lì rinchiusi per praticità, poiché «la polizia di Costantinopoli si attiene al sacro principio che è più facile rilasciare un innocente dalla Corte del diavolo che non ricercare un colpevole nei meandri di Costantinopoli». È un mondo vibrante di storie fosche, sinistre, che si rispondono in un sottile contrappunto e presto producono una sorta di assuefazione all’inferno. Sovrano del luogo è il direttore Karagöz, poliziotto e metafisico burattinaio, che proprio esercitando un totale arbitrio e togliendo alla tortura il peso della certezza «rendeva più tollerabile e lieve ogni cosa»: figura di tale potenza che, dopo averlo incontrato, anche i lettori di questo magistrale racconto, come gli abitanti della Corte del diavolo, stenteranno «a immaginare la vita senza Karagöz». La Corte del diavolo fu pubblicato per la prima volta nel 1954.